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Sguardi Attraverso | Testimonianza di un detenuto

Storia di Fausto*

Incontrarsi

Tutto ebbe inizio perché lessi un annuncio scritto su una locandina appiccicata alla bacheca, dove di solito si trovano informazioni di vario genere. Parlava di danza, di un progetto inerente la danza. Ho letto l’annuncio e mi son detto “Perché no? Perché non provare?
Chissà se mi potrà piacere… mi metto in gioco… io ci provo!”.
Ballare non mi era estraneo; quando stavo fuori non mi dispiaceva frequentare locali da ballo ed in particolare mi piaceva molto la musica e i balli latino americano.
Da diverso tempo, le mie giornate sono accompagnate dalla musica, una delle poche cose che mi aiuta a trovare la tranquillità. Il mio stress se ne va. La musica mi aiuta ad avere un equilibrio; essa è spazio di cura di me. Ascolto musica quando scrivo, quando disegno, quando devo pranzare. Tutta la mia giornata è scandita dalla musica. Insomma mi sono iscritto al progetto. E ci ho provato. Una, due, tre volte e poi ho proseguito.
Il primo incontro…mi restano nel ricordo non solo i volti dei volontari, i loro occhi, ma anche una emozione legata alla relazione, in particolare. Rimasi molto colpito da come, sin da subito, io mi sentii a mio agio. Cos’era questa cosa? Come mai poteva accadere? Mi sentivo uno di loro. In questo luogo dove spesso si sperimenta la restrizione nella restrizione, avevo incontrato persone con le quali mi sono sentito libero di parlare di emozioni. Nel tempo ho confidato loro pensieri che non sapevo a chi dire. Mi ascoltavano, mi capivano. Coglievano i miei momenti e sempre mi hanno donato parole. Anche loro si esponevano. Io, noi, eravamo dei reclusi e in quante occasioni non erano mancati pregiudizi nei nostri confronti. Ed invece questi, che venivano per farci danzare, non creavano differenza noi-loro. Li guardavo e sentivo che si esponevano nella loro capacità di essere “esseri umani” disponibili ad accogliere senza giudizio il prossimo. In fondo chi non potrebbe sbagliare? Ho sentito di essere accolto nella mia intera umanità, di vizi e virtù, e compreso. Con ogni persona che ho conosciuto, ho potuto esprimere tutto me stesso. Ma di quel primo incontro non dimentico Giulia, la sua schiettezza nel proporsi e la sincerità a noi richiesta nell’aderire o meno alla proposta. “Questo è il nostro primo incontro…se pensate possa interessarvi allora proviamo una due volte… chi vuole, bene, chi non vuole rimane fuori…”. Era il 2018 ed ora sono passati circa tre anni.

I muri diventano polvere e le sbarre diventano acqua

Mi sembrava di vivere un’esperienza eccezionale. Danzavo e trovavo il modo per esprimermi, per dirmi. Danzare era evasione. Qui non c’è molto modo per sentire cosa accade là fuori, cosa c’è nel mondo. Danzare mi permetteva di oltrepassare i muri. Non vedevo materialmente il mondo fuori, ma mentalmente sì. Ecco che la danza mi faceva uscire. Come se con la danza i muri si abbattessero. Non esistono i muri, non li sento più; i muri diventano polvere e le sbarre diventano acqua. La danza era la possibilità di immaginare uno spazio aperto. Ma allo stesso tempo, questa straordinaria esperienza, mi faceva sentire l’evasione da me stesso e l’unione con i miei compagni di danza. Essere unito a loro e, nello stesso tempo, evadere da me stesso. Uscire da me stesso, esprimere quanto vive dentro me stesso, sia in senso fisico che psicologico che comunicativo.
Evadere da me stesso per incontrare me stesso e stare bene con gli altri.

La danza è nello sguardo

Il corpo si lascia andare. Brevi e semplici note. Semplici sguardi. Guardarsi e sentire. Capisco, quando guardo l’altro negli occhi, che posso muovermi ed esprimermi. Solo guardandolo. Essere guardato, anche. Lo sguardo nell’incontro è importante. Forse è l’incontro. Dallo sguardo, da quelle fessure, capisci l’altro. Non riusciremo mai a cogliere un’altra persona sino in fondo perché essa è un mistero; però qualcosa, una piccola nota riusciamo sempre a percepirla; ecco con lo sguardo durante la danza questo accade. Io l’ho sentito dentro questi miei compagni di danza. Lo sguardo, l’occhio mi permette di entrare per uno spazio di tempo in contatto con un’altra persona… lo sguardo ha più parole della bocca. D’altra parte quando parli con una persona e questa non ti guarda ma volge lo sguardo altrove è perché non vuole farsi riconoscere, non vuole che tu entri in lei. È anche una questione di intensità dello sguardo. Allora non c’è bisogno di parlare, già sai.
La danza è una danza di sguardi. Ci troviamo davanti un’altra persona e gli sguardi ci orientano per rendere possibile l’incontro così come esso deve essere, senza calcolo.

Porgere e prendere una mano

Un gesto… la Susi… quando arriva io la prendo e la faccio girare. Per me un gesto che ha un significato. Nel danzare qualsiasi gesto ha un valore. Ecco la mano che avanza da me e va verso l’altro. Vuoi stare vicino a me? Mi accogli? Porgo la mano e esprimo tante parole ed emozioni. Io pongo la mano e l’altro? È un gesto che chiede coraggio… mi accetti? Tutto diventa quell’attimo; essere ciò che si è con tutto il passato, il presente, il futuro. La persona nella sua interezza.
Non funziona il giudizio in quel momento. Io porgo la mia mano con coraggio. Io ci sono… e tu ci sei? Io ci sono, ci provo a farmi avanti anche se c’è il rischio che tu non mi accetti… nella mia interezza vado verso il mondo… Quella mano è per me il mondo. Porgere la mano come andare verso il mondo, il coraggio di vivere e camminare.
Ho avuto tantissimi anni di reclusione e mettermi in gioco non è stato facile…ma non è stato impossibile. Sono riuscito a porgere la mano. Ci sono state mani che danzando mi hanno accolto.
Questo coraggio è venuto da dentro, dal mio profondo essere. Non ci ho pensato, è stato immediatezza emotiva. Dopo 20 anni di reclusione questa relazione di corpi, mi ha permesso di maturare. Danzare mi ha aiutato a cambiare. Per me, così chiuso in me stesso, lavorare sul corpo mi ha permesso di aprire la mente i sentimenti… e anche l’amore.

L’amore non è cieco

Ho conosciuto per tanti anni solo la mia cella, le mie quattro mura. Adesso mi sono esposto con una persona e sto vivendo bellissimi momenti. Non lo avrei mai immaginato. Sto scoprendo di essere capace di fare cose che non avrei mai pensato di saper fare. Sto andando a scuola; frequento le medie. Avevo paura di andare a scuola perché io non so far niente. Nella mia infanzia difficile a scuola ci sono andato più gonfio che sgonfio. Non riuscivo a imparare nulla; a volte per la vergogna non ci andavo neanche a scuola… perché ero talmente gonfio…Mettermi in gioco ora per andare a scuola è un altro modo di camminare verso di me e verso il futuro. Ho superato la paura di non essere capace, di sentirmi ridicolo e adesso da tre mesi vado a scuola ed ho già preso tre sei.
Da una parte la danza come energia che ha messo in movimento l’apertura; ero chiuso e la danza mi ha permesso di aprirmi, dall’altra energia per reinventarmi attraverso la scuola.

Autoritratto

Due occhi e il mare…

Questa danza è come una colomba. Porta la pace e la libertà, vola ed è libera.
Cosa c’è di più puro di una colomba.
Li aspetto, mi hanno fatto star bene, torneranno i danzatori.

*Per ragioni di privacy il nome Fausto è di fantasia

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Ludovica Danieli

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.


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